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PESCI ABISSALI A MESSINA

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Messaggio Da Ospite Gio Feb 26, 2009 11:47 am

LO SPIAGGIAMENTO DI TELEOSTEI BATIFILI

Intorno alla metà dell'800, si credeva che per effetto della pressione, della bassa temperatura e dell'assenza di luce, il mare fosse azoico a partire da ridotta profondità. I primi dragaggi, fatti nel Mediterraneo tra i 300 e i 700 m di profondità non facevano che confermare queste ipotesi, a causa dell'inadeguatezza degli strumenti utilizzati. Ma gli animali "abissali" erano già conosciuti dai nostri pescatori i quali credevano che giungessero da qualche ignoto punto delle grandi profondità del mare , tanto che li chiamavano "pisci diavuli".

Il messinese Anastasi Cocco aveva determinato, già nel 1829, pesci appartenenti ai generi Vinciguerria e Icthyococcus descrivendone gli organi luminosi. Risso riconobbe come specie di mare profondo certi pesci dalle forme strane, con caratteristiche morfologiche, quali la presenza d’organi luminosi, occhi molto grandi o piccoli o addirittura assenti. Forbes riteneva che il mare fosse completamente azoico a profondità superiori a 550 m; Ross , a profondità superiori a 730 mt., raccolse un'abbondante e varia fauna, quindi l'elevata profondità non costituiva un parametro rilevante su quei particolari organismi.

S’iniziarono così campagne oceanografiche per conoscere meglio il problema. Sono state eseguite spedizioni prima della prima guerra mondiale e fra le due guerre, ma soprattutto dopo il 1945. A 150 mt. di profondità sono stati catturati in prevalenza animali azzurri o trasparenti; da 150 mt. a 500 mt. pesci grigi argentei, oltre i 500 mt. pesci neri. Negli ultimi decenni i progressi della ricerca sottomarina sono stati prodigiosi, tanto da poter effettuare osservazioni dirette con batiscafi e riprendere gli organismi nel loro habitat.

STUDI SULLA FAUNA SPIAGGIATA

Il primo contributo scientifico, per la conoscenza di forme animali relitte sulle spiagge dello Stretto, fu dato da Anastasio Cocco. Tra il 1894-96 furono studiati alcuni stadi di sviluppo di murenoidi nella fauna spiaggiata a C.po Faro, dove nelle giornate di scirocco spiaggiavano migliaia di Leptocefali e furono raccolti diversi esemplari a Ganzirri. Il materiale spiaggiato servì per lo studio dello sviluppo dell'anguilla e dei Murenoidi in genere. Il fenomeno dello spiaggiamento fu studiato da Giuseppe Mazzarelli (1909) che citò, tra gli organismi spiaggiati, 43 specie di teleostei. Fu questo il primo studio del fenomeno considerato nella sua interezza e complessità.

In seguito furono puntualizzati alcuni caratteri ancora sconosciuti della specie. Dal 1968, allargando l'areale di raccolta alle due coste dello Stretto e l'arcipelago eoliano e operando raccolte regolari e frequenti, si tentò di avere una visione più complessiva del fenomeno. Nel 1977 Berdar trovò spiaggiati nello Stretto, 162 specie di teleostei.
CAUSE E MODALITA' DEGLI SPIAGGIAMENTI

Nello Stretto gli spiaggiamenti sono dovuti alle correnti di marea, alle onde ed ai venti. Le correnti di marea giocano un ruolo fondamentale negli spiaggiamenti. Lo scirocco é da considerare un vento decisamente favorevole per lo spiaggiamento; la sua azione é potenziata dal corrispondente senso della corrente . Il periodo ottimale per gli spiaggiamenti é quello iniziale e finale dei fenomeni eolici, cioé quando la forza del vento non é al suo massimo. Una spiegazione di tale comportamento potrebbe essere data dal fatto che gli "organismi pelagici" e "batiali", salvo eccezioni, si tengono lontani dalle coste e raggiungono quote più profronde durante le burrasche. Un vento sfavorevole per gli spiaggiamenti é il libeccio.

Gli spiaggiamenti sono più frequenti a Torre Faro ed a S.Francesco dove quasi giornalmente si possono trovare organismi batifili. A Ganzirri, S.Agata, Porticello, S.Raineri e Contesse, si possono avere spiaggiamenti massivi, ma con minore frequenza.
Lo Stretto di Messina é nel Mediterraneo e forse anche nel mondo un ecosistema particolarmente interessante, date le sue caratteristiche di "oceanicità" e per il particolare aspetto dello spiaggiamento che ne fanno un biotipo altamente significativo dal punto di vista scientifico. E' possibile infatti reperire relitta una ricchissima fauna profonda spesso semiviva. Gli animali spiaggiati ci consentono di poter comprendere e ricostruire questo ecosistema profondo. L'assenza di luce, l'elevata pressione idrostatica, la scarsa circolazione di materiale nutritivo, l'isolamento, per effetto dello spessore della massa d'acqua sovrastante, l'influenza delle condizioni climatiche e la diminuzione della temperatura conferiscono alla fauna batiale aspetti morfologici e fisiologici peculiari. Moderne tecniche di osservazione con l'impiego di sottomarini di grande profondità hanno consentito in rare occasioni l'osservazione in situ di questi organismi , che hanno consentito di arricchire il quadro sulla biologia e sull'ecologia dell'ambiente profondo.

Sono stati osservati pesci batifili che vivono tra 200 e 2000 m di profondità e che sono tra le specie che più frequentemente vengono spiaggiate. All'osservazione diretta queste specie hanno dimostrato scarsi movimenti natatori ed immobilità per lunghi periodi. Interessante si é rivelato l'aspetto etologico; si é osservato che alcune specie vivono generalmente isolate. Di contro sul fondo é stato osservato un comportamento vivacissimo. Queste osservazioni dirette sul comportamento e sull'ecologia della fauna profonda , che spiaggia lungo le coste dello Stretto di Messina, hanno consentito di interpretare meglio questo fenomeno naturale, facendo comprendere come lo spiaggiamento dipende sia dalle condizioni meteomarine ma anche in maniera determinante dall'etologia della specie. La presenza di organismi spiaggiati non é costante ma varia; le migrazioni nictimerali favoriscono lo spiaggiamento di fauna batifila che si trova di notte o alle prime luci dell'alba in quanto, molte specie, durante le ore notturne, si portano negli strati d'acqua più superficiali, seguendo lo spostamento del plancton stesso, per cui sono catturati da un "refolo" o da un filone di corrente ascendente che ne determina l'affioramento.
Sappiamo che lo Stretto di Messina é interessato da un regime idrodinamico intenso e continuo, che condiziona le caratteristiche oceanografiche e biologiche. Tra le correnti di varia natura di cui si é ampiamente parlato in precedenza, rivestono particolare interesse quelle di rimonta che determinano un particolare movimento ascendente denominato "upwelling". Enormi masse d'acqua provenienti dallo Ionio, rimontano a quote più superficiali in prossimità della soglia (72m) tra Ganzirri e P.ta Pezzo, interessando in breve tempo, le adiacenze ioniche e tirreniche. A questo fenomeno é legato quello dello spiaggiamento di organismi profondi, lungo il litorale messinese e calabrese, dove é possibile reperire, in condizioni di vento e correnti favorevoli organismi batifili. Il fenomeno dello spiaggiamento di fauna batifila può essere causato anche da violenti eventi naturali come l'onda di maremoto del dicembre 1908, che evidenzia come questo evento abbia interessato tutta la massa d'acqua superficiale e profonda.

In definitiva, si può sostenere che attraverso lo studio della particolare morfologia delle specie batifile si é potuto avere un quadro delle condizioni estreme dell’ecosistema profondo. Occhi molto grandi che servono per percepire bagliori, fotofori la cui distribuzione sul corpo, caratteristica di ogni specie, fa ritenere che funzionino come segnali di riconoscimento e di attrazione sessuale analogamente alle livree ed ai disegni dei pesci che vivono a piccole profondità. Le peculiari caratteristiche di questi organismi , che mostrano la bocca enorme ed i denti lunghi e aghuzzi, sono presenti sulla lingua e sul palato; essi hanno talvolta stomaci dilatabili, tanto che le pareti dell'organo e del corpo, molto distese, diventano così sottili che per trasparenza si vede il contenuto. Essi delineano un ecosistema nel quale prevale la predazione e in cui la possibilità di incontrare una preda é alquanto aleatoria. Ormai da quasi 200 anni lo studio dei fenomeni e della "particolare" forma dello Stretto ha interessato numerosi ricercatori. Dal 1824 ai nostri giorni, sono stati pubblicati numerosissimi lavori sull'argomento. Pur tuttavia, ancora molti sono i dubbi da sciogliere che potrebbero dare un contributo alla conoscenza dell'ecologia e dell'etologia di questi "strani" abitanti dello Stretto di Messina. Purtroppo oggi, date le particolari difficoltà, soltanto pochi ricercatori ed alcuni appassionati naturalisti continuano ad interessarsi all'argomento che invece meriterebbe un costante e più attento monitoraggio.

Nelle acque dello Stretto esistono sia specie endemiche, cioè che si trovano esclusivamente a Messina, e sia pesci che rappresentano circa il 95% delle specie presenti in tutto il bacino del Mediterraneo. Non va dimenticato che in questa naturale strettoia confluiscono masse d’acqua, con relativa flora e fauna, provenienti sia dal Mar Rosso, attraverso il Canale di Suez, sia dall’Oceano Atlantico, mediante lo Stretto di Gibilterra. Non appena sorge il sole, i suoi raggi rovinano irrimediabilmente le fragilissime strutture organiche, le quali, molto spesso, sono costituite dal 98% di acqua. Basti osservare alcune specie come la Velella velella, conosciuta anche con il nome di Barchetta di S. Giovanni, poiché spiaggia a volte a centinaia di migliaia, verso la fine di giugno. E’ un parente stretto delle meduse e bastano pochi raggi luminosi perché si essicchi completamente. La Carinaria mediterranea, un mollusco pelagico costituito da circa il 97% di acqua, possiede una conchiglia sottilissima e trasparente, che ricopre le cavità intestinali. E’ un animale rarissimo in tutto il Mediterraneo, fatta eccezione dell’area dello Stretto; ecco perché i raccoglitori di conchiglie fanno a gara per mettersi in contatto con i malacologi messinesi, allo scopo di procurarsi questo preziosissimo reperto.
L’Oxigirus cantraini, altro mollusco pelagico, raro nel Mediterraneo, ma comune nell’area dello Stretto, misura circa 6-8 mm. Basta un po’ di calore perché la sua delicatissima conchiglietta subisca un processo di torsione. Il primo reperto di fauna batifila fu studiato nel 1829; si tratta del famoso Argyropelecus hemigymnus, detto comunemente Ascia d’argento, così chiamato perché la sua forma ricorda una mannaia per macellai, di colore appunto argentata. E’ una specie di modeste dimensioni, tanto che può raggiungere massimo i 4-5 cm di lunghezza. Nelle acque dello Stretto è abbondantissimo, vive fino a 3.000 metri di profondità. Se consideriamo che ad ogni 10 metri circa di profondità la pressione aumenta di 1 atmosfera (1,033 kg ogni cmq) a 3.000 metri questo pesciolino sopporta pressioni pari a 300 kg per cmq di superficie corporea. In che modo questi pesci batifili riescano a sopportare pressioni così enormi rimane, fino ad oggi, un enigma nel campo della biologia marina.

Lungo l’arenile di Ganzirri e Faro esso spiaggia in modo abbondante, fino a decine di migliaia. Ai lati del corpo porta circa una cinquantina di organelli chiamati fotofori: si tratta di particolari organi luminosi, a struttura ghiandolare, i quali hanno, secondo gli ittiologi, sia lo scopo di riconoscimento nell’ambito di una stessa specie, sia la funzione di attrarre la preda, che quella per l’attrazione sessuale. Gli occhi di questo pesciolino, come del resto di quasi tutti i pesci batifili, sono molto sviluppati e particolarmente ricchi di bastoncelli nella retina. Essi sono un chiaro esempio dell’adattamento di un organo a particolari condizioni ambientali. Il Manliodus sloani, detto comunemente Vipera di mare, è un pesciolino di circa 25-30 cm di lunghezza, che vive tra 300 e 600 metri di profondità. Spesso si porta in superficie, ove nuota goffamente. E’ ricoperto di uno strato mucoso, che al sapore risulta abbastanza amaro. E’ dotato di denti assai allungati, ricurvi ed appuntiti. E’ una specie carnivora ed aggressiva. Quando si tenta di afferrarlo dalla coda, si volta di scatto ed azzanna come un serpentello. I suoi denti sono così affilati ed appuntiti che ci si accorge di essere stati morsi solo dopo aver visto il sangue uscire dalla ferita.

Il primo raggio della pinna dorsale è allungato e porta alla sua estremità una ghiandola luminosa. Il pesce, quando deve catturare la preda, la muove in vicinanza della sua bocca e letteralmente pesca come una canna da pesca. Quando un pesciolino si avventa per mangiare questa insolita esca, viene prontamente ingoiato dalla vipera di mare, diventando, da predatore, predato. Esso possiede in bocca un meccanismo particolare; difatti, la mascella inferiore può sganciarsi dall’apparato branchiale per formare un’apertura di circa 180°, da cui possono entrare prede molto più grosse della sua sacca stomacale, tanto è vero che spesso lo si vede affiorare morto, con la preda all’interno perfettamente intatta e con gli intestini tutti laceri.

Il Batophilus nigerrimus, Batofilo nero, è considerato un fiore all’occhiello dello Stretto di Messina. Esso vive a 500-600 metri di profondità e misura mediamente 6-8 cm. E’ una specie carnivora ed aggressiva, a giudicare dalla potente dentatura impiantata nelle due mascelle, nella lingua e perfino nel palato. Sotto la mascella inferiore c’è un barbiglio molto allungato (circa 2 volte la lunghezza del corpo), alla cui estremità c’è un organo luminoso che serve ad attirare le prede. Stranamente ha gli occhi piccolissimi, ma sotto di essi c’è un grosso organo luminoso di forma ellittica. I raggi delle sue pinne sono delicatissimi e si presentano molto più sottili di un capello. Il Valenciennellus Tripunctulatus, conosciuto con il nome comune di Valenciennello, vive preferibilmente a 500-700 metri di profondità e raggiunge una lunghezza massima di 4-5 cm. Si presenta trasparente e privo di scaglie, giacché sono estremamente caduche. Il corpo, inferiormente, presenta cromatofori riuniti a gruppi di 2-3 metri; superiormente esistono particolari formazioni stellate, chiamate melanofori, con ramificazioni più lunghe verso il profilo dorsale e più corte verso la parte ventrale.
La rarissima specie batifila, denominata comunemente Gadorinco, è stata recentemente trovata sulla spiaggia di Faro, dopo un forte vento sciroccale: misura massimo 10 cm. Quello che colpisce è l’enorme grossezza del fegato, formato da due ali longitudinali estese fino all’ano ed occupanti tutta la parte superiore ed i lati del ventre, molto simile ad una grossa ernia. A causa di questo vistoso carattere viene chiamato Rhynchogadus hepaticus..

Altra specie endemica dello Stretto di Messina, è un serpentello marino lungo circa 20 cm, a sezione circolare, il cui diametro non oltrepassa i 3-5 mm. Fu descritto per la prima volta nel 1887 con il nome di Nettodarus brevirostris. Di questa specie tuttora si sconoscono le abitudini di vita, alimentari, di riproduzione e la esatta distribuzione geografica. Possiede occhi piccolissimi; sul muso, poi, sono presenti numerose escrescenze, papille ed appendici carnose molto simili a creste, la cui funzione, probabilmente, è sensoriale. Per tale motivo è stato denominato volgarmente Muso rognoso. Il fascino naturalistico dello Stretto fa sì che ogni anno arrivino a Messina studiosi provenienti da tutto il mondo, geografi, geologi e soprattutto ittiologi, per approfondire sempre di più le conoscenze di questo paradiso.

[img]http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/87/Messina_Straits_Chauliodus_sloani.jpg[/img]

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